"Archivio"
Che cos'è un archivio? Che cosa lo distingue da un catalogo? Da una
biblioteca? Da un certo punto di vista, tutto potrebbe essere pensato sotto
forma di archivio (coesistenza, traccia, datazione)?
Il concetto di archivio ha conosciuto numerose definizioni nel corso del
tempo, ognuna delle quali ha però messo in evidenza il doppio significato di
archivio sia come luogo fisico, sia come insieme/relazione “astratta” di
enti (documenti). Per alcuni l'archivio nasce a partire da relazioni
naturali tra gli oggetti/documenti che gradualmente e progressivamente lo
costituiscono: «L'archivio (...) nasce spontaneamente, quale sedimentazione
documentaria di un'attività pratica, amministrativa, giuridica. Esso è
costituito perciò da un complesso di documenti, legati tra loro
reciprocamente da un vincolo originario, necessario e determinato, per cui
ciascun documento condiziona gli altri ed è dagli altri condizionato» (Elio
Lodolini, Archivistica: principi e problemi, Franco Angeli, Milano 1990,
p.14). Da questa idea di archivio, inteso come naturale costruzione di un
insieme ordinato di documenti, il cui ordine segue criteri “spontanei”, ne
nasce però anche un'altra, più critica verso la concezione automatica o
spontanea dell'archivio: «L'archivio rispecchia innanzitutto il modo con cui
l'istituto organizza la propria memoria, cioè la propria capacità di
autodocumentarsi in rapporto alle proprie finalità pratiche» (Claudio
Pavone, Ma è poi tanto pacifico che l'archivio rispecchi l'istituto? , RAS,
XXX, 1970, n. 1, p. 147).
L'archivio è dunque riflesso di un modo di rapportarsi al mondo da parte del
soggetto produttore/realizzatore dell'archivio stesso. Il vincolo
archivistico – il nesso/connessione tra i documenti conservati nell'archivio
– è però anche altro, qualcosa che va al di là delle intenzioni del soggetto
che dà origine all'archivio: «I documenti sono l'immagine che il potere
sceglie di conservare di se stesso nel futuro», Isabella Zanni Rosiello,
Archivi e memoria storica, Bologna, Il Mulino, 1987).
Riflesso intenzionale e inintenzionale, vincolo naturale o storicamente
determinato, l'archivio si configura sempre di più come forma
dinamica/organica e non semplice contenitore ordinato e stratificato di
documenti.
Anche da questo punto di vista, il concetto di “Archivio” è una nozione
centrale nel dibattito contemporaneo ed entra in stretto rapporto con
problematiche riguardanti il cinema e l'audiovisivo, l'immagine e il suono
intesi come strumenti di elaborazione, conservazione e trasformazione della
memoria, del passato e del presente. L'archivio assume sempre di più il
ruolo di “corpo della memoria”. Il rapporto tra archivio e memoria è
centrale quindi e diventa il punto di partenza nell'analisi del rapporto tra
archivio e immagine cinematografica, rapporto centrale per la formazione
della memoria collettiva. Come scrive Le Goff, la memoria collettiva: «ha
costituito un'importante posta in gioco nella lotta per il potere condotta
dalle forze sociali. Impadronirsi della memoria e dell'oblio è una delle
massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno
dominato e dominano le società storiche» (J. Le Goff, Memoria, in Storia e
Memoria, Torino, Einaudi, 1986, p.350).
L'archivio è sempre di più, di conseguenza, un concetto complesso,
articolato, dinamico: un concetto all'interno del quale si gioca tra l'altro
una posta alta, relativa alle forme con cui una società pensa e
istituzionalizza se stessa. Non è un caso che il concetto di archivio sia
presente e portante nelle riflessioni di autori come Borges, Foucault,
Derrida, Boris Groys.
In questo senso, all'interno del (e a partire dal) concetto di archivio
ruotano alcuni nodi centrali del dibattito e del pensiero contemporaneo e,
soprattutto, ruota il cinema come luogo e sguardo privilegiato della memoria
del Novecento, luogo non passivo né acritico, ma al contrario continuamente
in movimento.
Al fine di individuare alcuni percorsi da sviluppare all'interno del numero
della rivista, si possono evidenziare alcune forme del rapporto
archivio-memoria-cinema.
• L'archivio mentale. Il cinema come riarticolazione della memoria del
presente.
Se l'archivio ha a che fare con la necessità di preservare la memoria, il
cinema, il suo essere continuamente aperto a nuove connessioni, a nuove
letture, a percorsi diversi da quelli istituiti di volta in volta, permette
di pensare il suo rapporto con la memoria come un rapporto aperto, non
statico né unidirezionale. La fruizione cinematografica è tale da permettere
di vivere il film come evento, talvolta come monumento (arte), ma mai solo
come documento. Il cinema, insomma, è una memoria declinata sempre al
presente, che resiste all'idea di archiviazione intesa come organizzazione
stabile della traccia, del documento prodotto. Il film, come ogni prodotto
di creazione, è sottoposto ad una continua reinterpretazione, ad una
stratificazione di senso che lo investe o lo nega (per poi magari farlo
riemergere). Il cinema, o meglio l'insieme dei discorsi sul cinema, ha da
sempre continuamente reimpostato il proprio archivio, il vincolo che
permette ai documenti di connettersi tra loro secondo determinate
relazioni/dipendenze. Il continuo spostamento del tipo di vincolo che lega
tra loro i film (filiazione, appartenenza ad una corrente, ad una tendenza
estetica o ad una cinematografia nazionale, opere di un autore, opere
determinate da uno stile o da un determinato linguaggio, ecc.) ha costituito
anche una delle specificità dell'immagine cinematografica come immagine
sempre (virtualmente) presente.
• L'archivio mobile. L'immagine cinematografica come trasformazione
dell'archivio .
Le nuove tendenze di un cinema che si fa ogni volta archivio (il found
footage , il film di montaggio nelle sue varie accezioni, il cinema
d'archivio) mettono in discussione da una prospettiva inedita l'idea e la
pratica dell'archivio: il cinema non è un archivio, ma ne simula alcune
caratteristiche, prima fra tutte la connessione tra i singoli elementi, il
riconoscimento dell'immagine come “documento”, traccia, testimonianza. Ma
l'uso del montaggio, la riconfigurazione dei documenti in un flusso filmico,
l'esposizione dell'immagine nella fruizione del film, costituiscono in fondo
una negazione dell'archivio, o, forse, una sua necessaria mobilizzazione.
L'uso degli archivi come fonte per la realizzazione di un film è ciò che
permette all'archivio di esporsi, cioè di trasformarsi, rimodularsi, di
lavorare sul confine tra il privato e il pubblico, tra ciò che viene
conservato (e quindi sottratto) e ciò che viene riesposto (e quindi: da
Godard a Chris Marker, da Yervant Gianichian/Angela Ricci Lucchi a Esfir'
Šub, da Alberto Grifi/Baruchello a Jay Rosenblatt, a Peter Tscherkassky, il
cinema della modernità fa di se stesso il proprio archivio esponibile e
ripresentabile)
• L'archivio/montaggio. l'archivio come esclusione di ciò che non ne fa
parte.
«Una istituzione deve talvolta custodire la memoria di ciò che essa esclude
e tenta selettivamente di consegnare all'oblio. La superficie del suo
archivio è allora caratterizzata da ciò che essa tiene al di fuori, che
espelle o non tollera più. Essa assume la figura inversa del rifiuto, si
lascia identificare attraverso ciò che la minaccia o che essa sente come una
minaccia. Per identificarsi , per essere ciò che è, per delimitare se stessa
e riconoscersi nel suo nome, deve - per così dire - portare il suo
avversario nel suo seno. Deve assumerne i tratti, persino sopportarne il
nome come un marchio negativo. E capita che l'escluso, quello i cui tratti
sono pesantemente scolpiti nel seno dell'archivio, iscritti nella superficie
istituzionale, finisca col divenire a sua volta colui che porta la memoria
del corpo istituzionale» (J. Derrida, prefazione a Du droit à la philosophie,
Galilée, Paris 1990, p. 19).
La possibilità di ripensare l'archivio come struttura mobile, forma
contemporanea del montaggio, è ciò che accomuna una parte del pensiero del
Novecento, tra filosofia, storia dell'arte ed estetica (da Warburg a
Benjamin, da Godard a Didi-Huberman). Il cinema nella sua totalità può
essere visto come il territorio in cui far emergere ciò che il processo di
archiviazione rischia di espellere, tenere al di fuori. Il cinema come
esposizione di gesti, di forme e sguardi ed eventi altrimenti non più
visibili, o addirittura anestetizzati, la cui ricerca può essere un
ulteriore riconoscimento del suo potere.
[indietro]